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Marco FilabozziOffline

  • MarcoF

Poesia

Rigopiano

Quanno la gente sa che ce so ito subbito parte ‘r terzo grado, ormai abituale,
quarche curioso però, magari troppo ardito, vo’ mette ‘r naso pure dentro ar personale.
“Allora? Che se prova ‘n que’ momenti?”
E lì che je risponni? Me sento inetto, sprovveduto, come la spieghi ‘n’emozione, i sentimenti?
Quindi scanso la domanda e ricconto solo l’accaduto.
Da Roma già in Abruzzo pe’ tutta n’altra storia, appena sistemati nell’imbiancato teramano, de peso venimo trasferiti ‘n fretta e furia
verso la tragedia su all’Hotel de Rigopiano.
Cor buio pesto rivamo ‘n fonno a la montagna, dopo ‘na corsa lunga, faticosa e tormentata, ar comincio de’ la strada comunale che ristagna pe’ bona grazzia dell’imponente nevicata.
La turbina scava ‘na trincea a passo lento e risoluto,
‘n mezzo ar muro spesso, alto quarche metro,
fermannose però davanti a ‘n ramo, ‘n’albero caduto,
e liberalla tocca a noi che stamo dietro.
De chilometri so’ nove, da la provinciale all’altopiano,
r’ freddo taja ‘r viso, de’ fioccà non vole smette,
e nonostante l’enorme sforzo disumano, allo spuntar dell’alba n’avemo ripuliti solo sette.
Pe’ fortuna, co’ la luce che mo’ lo permetteva,
l’elicottero s’abbassa sopra ‘r candido mantello, sospeso ne’ li turbini a mezz’aria ce preleva e ‘n braccio ce conduce nei pressi del macello.
Manco adesso tocca tera sulla falda fresca e arta,
“zompate!” strilla ‘l pilota forzanno ‘r protocollo,
‘r balzo de fatti è ‘na sciocchezza, perciò se sarta
e s’aritrovamo tutti sprofonnati fino ar collo.
‘n c’ha lasciati proprio a ‘n passo dall’albergo,
smove ‘n putiferio co’ le pale l’apparecchio,
allora m’allungo, gattono, affonno poi riemergo
e pe’ arivacce n’altro culo come ‘n secchio.
Di qua tabula rasa, di là ‘n mucchietto de macerie,
la spa ‘nvece da’ fiducia ar piano meno uno:
se fionnamo, ‘l sangue che ce pompa nell’arterie,
ma pure sana purtroppo ‘n c’è nessuno.
Allucciata co’ le lampadine sopra li caschetti, la prima anima spersa riaffiora dopo ore de lavoro;
‘r credente recita l’eterno, altri se levano l’elmetti,
‘n’attimo e via, che ‘r tempo è prezioso più dell’oro.
Lo scenario disastrato pare schietto ‘na sentenza, specie cor giorno che rischiara bene ‘r posto, ma ‘n collega all’improviso riaccenne la speranza, strillanno che forse quarcuno ja risposto!
Pisani e Torinesi allargano er minuscolo pertugio, poi giù, attraverso ‘r ventre scuro e ‘ntorcinato, fino a la madre stretta ar rigazzino ner rifugio, uscito da ‘n buco n’altra vorta, come rinato.
Supplica ‘n lacrime la donna straziata da la pena:
“Ve prego, cercatela, manca all’appello la sorella”,
così mentre lì sarvano altri de gran lena, noi romani se spostamo pe’ trovaje pure quella.
Scampato alla tragedia e ancora tramortito,
Fabietto venne mejo de’ ‘n cane san Bernardo, perché lui, che conosceva la struttura a menadito, ce permise de raggiunge la sala da bigliardo.
Oddio, certo sona facile detto a ‘sta maniera, voi la situazione mica l’avete sotto l’occhi, però quanto c’è voluto a piantacce la bandiera dov’erano nascosti li tre teneri marmocchi.
Scavi sommerso, tra ‘n mattone e ‘n legno che traballa, avvolto dar cunicolo de neve, tipo ‘n bozzolo, ‘na larva, solo che ‘r bruco la spacca e diventa ‘na farfalla,
a te si poco poco crolla chi te sarva?
Cor fumo finisci presto come ‘n sorcio, ‘n roditore, e ogni batteria ar gelo è bell’e morta, perciò lì sotto gnente attrezzi, ne’ a corente ne’ a motore, tutto a braccio, tutto a mano, a guisa de ‘na vorta.
Sartano ‘na porta de metallo, du’ muri de blocchetti,
‘n pannello ligneo che a levallo lo so io, e la torcia d’un tratto se riflette nell’occhietti de tre bimbi abbraccicati, tre angeli de Dio.
Se li strignemo uno a uno, manco fussero li nostri,
e pe’ tranquillizzali ‘na promessa su’ la vita, tutti quanti a guardà ‘n cartone co’ li mostri, poi finalmente fori, liberi, a respirà l’aria pulita.
Ma già sulla barella, coperto da ‘n giacchetto, ‘r più piccolo scatta e ferma brusco l’infermieri:
“Embè, ‘ndo me portate? Lassateme ch’aspetto,
finito qui vo’ ar cinema assieme a li pompieri!”

Marco Filabozzi

About Me

Marco Filabozzi

Poeta

Marco Filabozzi (27 marzo 1975) è un vigile del fuoco di Tolfa, meraviglioso paese collinare della provincia romana, patria della Catana (la borsa in cuoio fedele compagna dei movimenti del ’68) e Tolfarte (festival d’artisti di strada tra i più importanti d’Italia, ormai forse d’Europa), solo per citare alcune delle eccellenze di un luogo ricco di tradizione e cultura. In questo contesto, Marco cresce artisticamente nella compagnia di prosa Il Barsolo, fin dalla sua creazione nel lontano 1996; vi recita ancora, nonostante dal 2003 viva a Roma per motivi di lavoro. Scrive “Pasquino” (Il Molo - 2006) e “Il viaggiatore del senso perduto” (Albatros – 2010), romanzi da lui definiti esperimenti (per saggiare sé stesso alla ricerca di uno stile proprio e il genere più adatto ad esprimerlo), ora a frutto nel suo vero esordio narrativo attualmente in fase di stesura. Assieme all’autore, ha trasposto in versione teatrale il libro di Massimiliano Passerani “Ogni volto sopra di me – Sospiri” (Totem – 2018), traendone “Volti nella notte”, spettacolo emozionale che lo vedrà anche nelle vesti di attore e regista. “M’aricordo”, “Er gatto d’Amatrice” e “Che razza de razza”, sono i primi componimenti poetici in assoluto della sua vita, realizzati appositamente per la raccolta “Nazionale Italiana Poeti 2019” (Masciulli Editore), grazie ai quali è approdato nella splendida iniziativa di Michele Gentile, ideata allo scopo di promuovere la cultura (nel senso più ampio del termine) attraverso un calcio sociale e solidale. Di prossima pubblicazione “Secondo me – Un po’ Trilussa, un po’ Pasquino” la sua prima raccolta, poesie in dialetto romanesco tra cui “Rigopiano”, narrazione di una delle più toccanti sciagure della recente storia italiana, senza ombra di dubbio il componimento a lui più caro, che nei suoi versi rivive passo dopo passo la drammatica e al contempo esaltante esperienza vissuta in quegli indimenticabili giorni. Su Facebook: Marco Filabozzi.